[LOTTA CULTURALE] [FILOSOFIA] “POSTMODERNISMO” E FEMMINISMO:INDIVIDUALISMO E RELATIVISMO BORGHESE AL SERVIZIO DELL’IMPERIALISMO

TRADUZIONE NON UFFICIALE, PER IL DIBATTITO E LA FORMAZIONE, DI UN IMPORTANTE TESTO DEL

MOVIMENTO FEMMINILE POPOLARE DEL BRASILE

Il postmodernismo emerge come corrente filosofica borghese nel periodo dopo la seconda guerra mondiale, a partire dal pessimismo che colpì parte dell’intellettualità piccolo-borghese di fronte ai disastri prodotti dalle guerre imperialiste, e soprattutto in seguito al XX Congresso del PCUS, in cui Kruschov attacca la leadership del grande Stalin, diffondendo menzogne di ogni tipo con l’obiettivo di spezzare la fiducia e l’ottimismo delle masse nel socialismo, per aprire la strada alla restaurazione del capitalismo e rovesciare la dittatura del proletariato.

Il filosofo francese Jean-François Lyotard, che è arrivato a militare in un gruppo “socialista” anti-stalinista in Algeria nel 1950, è stato il primo a coniare il termine “postmodernismo” alla fine del 1970, che acquisirà maggiore slancio e forza, in particolare all’interno delle università, tra gli anni ’80 e ’90. In questo periodo, la profonda crisi economica insorta nell’arretrato capitalismo di Stato dell’Unione Sovietica socialimperialista, il crollo del revisionismo sovietico sotto la parola d’ordine reazionaria Perestroika/Glanost del sinistro Gorbachov e la controrivoluzione “di velluto” che ha fatto cadere i suoi governi lacchè nell’Europa dell’Est, eventi ampiamente propagandati come il “fallimento del socialismo” o la “fine del socialismo reale”, hanno permesso all’imperialismo americano di diventare un’unica superpotenza egemonica. Questi eventi sono stati così la base per una generale offensiva controrivoluzionaria dell’imperialismo, convergente con il revisionismo capitolazionista, anche contando sugli apporti ideologici di Papa Giovanni Paolo II. Tale offensiva è stata propagandata con insistenza come l’ingresso del mondo in un “Nuovo Ordine Mondiale”, in cui “globalizzazione” significherebbe espansione dei legami fraterni tra le nazioni e sviluppo del “neoliberismo” per i paesi “in via di sviluppo” ed è stata pomposamente annunciata la “fine della storia”, secondo la quale il capitalismo sarebbe “il miglior mondo possibile” e sicuramente l’ultimo dei sistemi sociali.

Come parte della guerra a bassa intensità (GBI) lanciata in quel periodo dall’imperialismo, a livello teorico e ideologico il postmodernismo è giunto a compiere, insieme al revisionismo, il suo ruolo di sostegno alla controrivoluzione, nel tentativo di deviare le masse dal percorso rivoluzionario, negando il carattere di classe delle società e la lotta di classe come legge di sviluppo di queste società, sostituendo queste verità con il racconto della lotta per “interessi d’identità” come motivo di trasformazione della società, e quindi arrivare a negare la possibilità della sua trasformazione radicale complessiva, ammettendo cambiamenti solo a livello molecolare, privato, attraverso i conflitti negli ambiti del “micropotere” (nelle aziende, nei luoghi di lavoro, a scuola e all’università, in famiglia, ecc).

Così, affermando il “fallimento” delle cosiddette “metanarrazioni” nell’intento di attaccare a livello centrale il marxismo, i sostenitori del postmodernismo sostenevano l’impossibilità teorica e pratica di conoscere le basi e le strutture sociali di una data società, ragione per cui non sarebbe possibile trasformarla nella sua interezza. Quindi il riformismo molecolare assomiglia a quello praticato dal revisionismo, anche se tenta di spacciarsi per “marxista”, mentre i postmodernisti negano apertamente il marxismo e la scienza in generale, enfatizzando il “vissuto” e l’ “esperienza” individuale. Il socialismo è presentato dai postmodernisti non come una concreta possibilità di realizzazione sociale, ma come mera “speculazione” o “ipotesi”, disprezzando tutta la scienza e le gigantesche conquiste raggiunte dall’umanità nei decenni di costruzione socialista del XX secolo, in nome di una supposta necessaria rottura con gli ideali illuministi.

Per i postmodernisti, tutti i modi d’interpretare la natura o la realtà sono ugualmente validi, perché non esisterebbe una verità oggettiva nel campo dei fenomeni, solo punti di vista diversi o “discorsi” diversi su di essi. Opponendosi alla possibilità della conoscenza umana della natura e della società e stabilendo la fine della ‘verità universale’, il postmodernismo ha affermato, quindi, l’esistenza di “discorsi” particolari e soggettivi, come punti di vista locali e sempre “contingenti” (instabili, provvisori) raggiungendo gli estremi del relativismo idealistico e del soggettivismo borghese. Per la maggior parte dei postmodernisti il linguaggio diventa il centro delle questioni, perché per loro è il discorso che costruisce ciò che chiamiamo realtà. Così, le “strategie” politiche post-moderne dell’ “incorporazione di richieste culturali e d’identità” si riducono alle possibili briciole concesse da parte del vecchio Stato e dall’imperialismo. Dando valore centrale ai cambiamenti di nome o, come si dice, alla “risignificazione” di concetti “aperti e fluidi”, si opera per deviare la lotta delle masse e tra queste, in particolare, quella delle donne delle masse popolari, verso il campo della semplice “disputa discorsiva” o “decostruzione” e “risignificazione” dei concetti.

Individualismo postmodernista e imperialismo

Il postmodernismo è la massima esasperazione dell’individualismo nel periodo della crisi finale dell’imperialismo. Per gli intellettuali postmodernisti come Lipovetsky, l’individualismo inaugurato dalla borghesia nel processo della Rivoluzione francese, ad esempio, era troppo “riduttivo” rispetto all’individualismo postmodernista “totale” o “illimitato”. Dopo tutto, la borghesia allora rivoluzionaria di quel periodo, oltre a proclamare la libertà individuale, ha anche difeso (almeno formalmente) l’uguaglianza e la fratellanza tra gli uomini (questione che, a fronte di queste ultime istanze, comporterebbe alcune limitazioni per l’individuo in funzione di un necessario impegno sociale, cosa che per il postmodernismo è considerato “terrore totalitario”). Come si è palesato rapidamente alle masse di operai e contadini che presero parte alle rivoluzioni borghesi, l’essenza della classe sfruttatrice borghese implicava che, una volta che i signori feudali avevano perso il potere politico e erano stati decapitati, essa affermasse la difesa esclusiva della sua libertà individuale, il cui centro è la libertà di sfruttamento, con l’uguaglianza e la fraternità che sono rimaste lettera morta per le classi popolari fino ad oggi, così come la cosiddetta “libertà”, inesistente per le immense masse popolari impoverite dallo sfruttamento in senso pieno.

Per i “postmodernisti”, tuttavia, qualsiasi situazione che richieda la subordinazione di interessi personali e individuali a un beneficio collettivo è vista come inaccettabile “tirannia” e “totalitarismo”, mentre la subordinazione di milioni di masse ai desideri e ai dettami meschini di una ristretta minoranza di individui nel mondo è da loro riclassificata come “libertà”. In effetti, questa è l’unica libertà che la borghesia imperialista (e i suoi apologeti postmodernisti del mondo accademico) può sostenere: la libertà dell’individuo (naturalmente delle grandi classi borghesi e delle altre classi dominanti) di sfruttare la stragrande maggioranza del popolo (che, come nello schiavismo classico, continua ad essere considerato dai nostri postmodernisti come un insieme di esseri privi di anima – o d’individualità).

L’individualismo estremo è giustificato dai postmodernisti come un auspicabile processo di “personalizzazione”, all’interno del quale all’individuo presumibilmente si presenta un insieme di “opzioni” e può scegliere “liberamente” quale di queste desidera consumare. Il consumismo, ben fomentato dall’imperialismo, che favorisce l’insorgere di malattie in centinaia di migliaia di persone, va di pari passo con l’esacerbazione dell’individualismo. Il desiderio edonistico individuale, la ricerca del piacere immediato e ad ogni costo, indipendentemente dalle conseguenze morali, politiche o sociali, è giustificato con la massima individualistica che “ogni essere umano ha il diritto di non interessarsi agli altri”. L’apologia dell’apatia e dell’indifferenza sociale, fatta dai postmodernisti nel mondo accademico, mira a promuovere la depoliticizzazione e l’alienazione di classe giustificando la condizione patologica dell’isolamento sociale in cui affondano milioni di giovani nel mondo d’oggi, questo nel disperato tentativo di promuovere il disimpegno morale, politico e sociale soprattutto tra i giovani. Tuttavia proclamando invano che non ci sono più classi o lotta di classe, che non è più possibile alcuna rivoluzione sociale e che questo è il motto ed il destino certo della “nuova era” della postmodernità e della “cultura della felicità” egoista e individualista, costoro stanno semplicemente descrivendo apertamente sé stessi, stanno mettendo a nudo l’essenza dell’ideologia della borghesia imperialista come la classe più sfruttatrice e reazionaria della storia. Questa è anche la fonte di un loro evidente fallimento: mentre cercano di diffondere questa concezione marcia, presentata paradossalmente come negazione dell’ideologia, come una non-ideologia, all’interno delle classi popolari, queste ultime continuano a cercare di resistere ed opporsi collettivamente. In questo modo andando a rappresentare, sotto tutti gli aspetti, il nuovo che avanza nella società, in forma estremamente superiore al vecchio. Il socialismo è giovane, il comunismo sta arrivando, che vi piaccia o no, signori intellettuali borghesi: semi-intellettuali borghesi.

La propaganda di “opzioni” come quelle della “libera scelta”, dell’ “essere sé stessi”, del  “vivere come si desidera” o della “possibilità di vivere senza dipendere dall’altro”, sono tutte concezioni apologete avanzate dai postmodernisti  in nome della presunta “libertà individuale” per la “conquista dell’identità personale”. Questa identità sempre “fluida e variabile” – che sarebbe il massimo della realizzazione del soggetto.

L’uomo cessa di essere un essere sociale, come Marx considera in maniera veramente profonda, e diventa l'”individuo individualizzato” della postmodernità – qualsiasi cosa questo significhi! Ma, vediamo: è lo stesso sistema imperialista che mette in movimento la più grande oppressione ideologica sulle persone, perché nel propagandare la sua cosiddetta “libertà individuale”, cerca solo di frammentare le masse, al fine di preservare il suo sistema marcio di estrema violazione dei diritti fondamentali dei popoli. Come anche alcuni ideologi postmoderni ammettono timidamente, tale libertà è limitata a seconda della condizione sociale, ma non ammettono la conseguenza inevitabile: ora, signori, se la “libertà” individuale non “include” tutti allo stesso modo nella nostra società (cosa che per il marxismo è questione ovvia e fondamentale, poiché viviamo realmente in una società divisa in classi sociali antagonistiche), la conseguenza di ciò sarà che le masse si rivolteranno contro di voi, signori, con una furia di classe non inferiore a quella che rivolgeranno ai principali membri delle classi sfruttatrici e oppressive, ai fascisti e ad altre forze criminali. Questo perché anche l’incentivo al consumismo e ad altri valori di futilità sociale diventano fonte di messa in discussione di questo stesso ordine che vi sforzate inutilmente di giustificare e difendere.

Dopo tutto, i postmodernisti che sostengono che gli “interessi individuali” dovrebbero soppiantare gli interessi sociali collettivi, dovrebbero chiedersi: come potrebbe prosperare e perpetuarsi una società come questa?

È destinata a fallire! Con la vittoria del socialismo in quasi mezzo mondo all’inizio della seconda metà del XX secolo, attraverso il quale sono stati posti come primari (e non solo teoricamente, ma anche in pratica) gli interessi collettivi della classe, solo così la stragrande maggioranza delle persone ha potuto sperimentare (individualmente e collettivamente) le più grandi conquiste, materiali e spirituali della storia del mondo mai realizzate nella società nel suo complesso. Per la prima volta e per milioni di persone, uomini, donne, bambini, anziani, tutti hanno preso parte alla costruzione consapevole della società, partecipando alla produzione sociale (non più come sfruttati!), all’elaborazione delle conoscenze tecniche e scientifiche, nelle arti e nella cultura in un modo massivo mai visto prima, a tutti i livelli dell’istruzione scolastica e in tutti i settori e campi della conoscenza e della società. Ed è stato solo un piccolo inizio!

Per quanto voi signori proponiate le vostre “post-verità”, in cui le versioni sui fatti sono più importanti dei fatti stessi, e continuiate a diffondere menzogne sulle conquiste delle masse che hanno partecipato alle rivoluzioni democratiche e socialiste del XX secolo, non potrete negare la realtà, cancellarla o impedirne lo sviluppo. Così ha cercato di fare il nazista Joseph Goebbels, per il quale “una bugia ripetuta mille volte si trasforma in verità” – ed è stato sconfitto dai popoli sovietici e dalla resistenza antifascista di decine di paesi; come ha cercato inoltre di fare “Bush”, suo figlio e l’intero monopolio dei media tramando sull’esistenza di armi chimiche di distruzione di massa in Iraq, al fine di giustificare la loro invasione imperialista per rapinarlo del suo petrolio – e sono stati incalzati dalla resistenza nazionale irachena; così come ha provato Trump, il buffone coraggioso e il suo seguito di estrema destra in Brasile, a imporre colpi di stato reazionari contro il popolo, anche quelli falliti. Vediamo i postmodernisti con il loro relativismo che afferma che “non c’è una verità universale”, che “ogni discorso è ugualmente accettabile” e l’ “individualismo è illimitato”,  come danno munizioni e giustificazione teorica alle posizioni borghesi più reazionarie, imperialiste e fasciste!

L’edonismo e la falsa libertà sessuale dei postmodernisti

Una conseguenza molto evidente dell’individualismo postmodernista è l’enfasi sul consumo finalizzato al piacere sessuale individuale ed edonistico, che finisce per mettere il corpo, e non solo quello femminile, oltre che come possibile merce, anche come oggetto di attenzioni e preoccupazioni ossessive e oppressive, principalmente nelle donne e nei giovani in generale. Ora, anche questo non è una novità della “postmodernità”, dopo tutto, gli standard estetici delle classi dominanti sfruttatrici e oppressive, nelle società divise in classi antagonistiche e basate sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, sono sempre stati imposti a tutta la società, soprattutto alle donne, per il ruolo sessuale e riproduttivo assegnatoci dall’emergere della proprietà privata! Ciò che è esacerbato al massimo, come in ogni sistema in crisi terminale. L’attrazione sessuale giocata sul terreno del deterioramento e della degenerazione delle relazioni affettive e il culto del corpo come oggetto erotico di consumo, sono tutte caratteristiche relative a un impero in decadenza e che si trova su un piano inclinato.

Rispetto a questa questione, le donne e i giovani subiscono una particolare pressione ideologica e culturale, morale, emotiva e psicologica, che si cerca di far passare come un processo “innovativo”, determinato da presunte libere “scelte della nuova generazione”. Proponendo e mettendo in primo piano una presunta “libertà sessuale” contro tutti gli standard, per un “amore libero” da responsabilità, contro “qualsiasi morale”. Tutto questo è solo il riflesso dell’ipocrita e corrotta moralità borghese dominante, individualista, forse una sua versione più esplicita, dove il piacere individuale svuotato di qualsiasi reale valore diventa centrale e dove la preoccupazione per l’altro è vista come una concessione al “moralismo” e al “tradizionalismo”, dal momento che le relazioni sono tutte usa e getta, o “fluide”, come sostengono i post-modernisti.

Noi, donne militanti e rivoluzionarie del popolo, così come uomini coscienti della nostra classe, dobbiamo combattere sia l’uso del corpo femminile come oggetto sessuale e merce, sia le falsità “postmoderne” (riesumate dalle rovine della vecchia antichità decadente greca) che difendono le relazioni superficiali tra le persone, incentrate sul mero ottenimento del piacere individuale, senza riflettere sulle conseguenze, delle pratiche edonistiche così fortemente sollecitate, in questo momento, dall’imperialismo. La poligamia maschile e la prostituzione femminile, come conseguenze dirette dell’emergere della proprietà privata ai primordi della società di classe, nei tempi attuali sono esacerbate da nuove forme, e non le combatteremo con la “poliandria” femminile o con qualcosa del genere, che sottostà al discorso femminista postmoderno della “libera scelta” delle donne, perché non ci può essere una genuina uguaglianza tra uomini e donne nella società dello sfruttamento! Tali pratiche edonistiche sono il culto dell’individualismo esacerbato del postmodernismo e dell’imperialismo. Come masse del nostro popolo e del proletariato in particolare, difendiamo i rapporti che si contrappongono all’individualismo in tutte le sue manifestazioni, sia nell’egoismo che viene stimolato con il motto “pensa prima di tutto a te stesso”, sia nelle relazioni affettive e sentimentali, perché questo deve anche servire a rafforzare la nostra classe, in una dura lotta per la trasformazione profonda di questa vecchia società di sfruttamento e di oppressione! L’impegno reciproco, la solidarietà, il rispetto e la lealtà proletaria tra le persone fanno parte della morale rivoluzionaria della classe, mentre il disimpegno, l’indifferenza, l’usa e getta delle persone (anche se presumibilmente reciproco!), sono il contrario di tutto questo e corrompono ideologicamente le masse, specialmente i giovani alla ricerca del nuovo, di vere trasformazioni radicali nella lotta per la distruzione del vecchio.

Il femminismo postmodernista e il vecchio riformismo borghese

La conseguenza politica delle posizioni postmoderniste che “non ci sono classi sociali e lotta di classe”, che “è solo possibile contestare i micropoteri locali” e che “sono i discorsi che costituiscono la realtà” è stata la causa della polverizzazione dei movimenti e della loro frammentazione in diverse “nicchie” secondo la particolarità “più particolare” di ogni segmento di classe, di categoria professionale o di genere, sessualità, razza, ecc. Così sono “emersi” i cosiddetti “Nuovi Movimenti Sociali” negli anni ’90, così come le ONG guidate dall’imperialismo, tutte incentrate su questioni etniche, culturali, di genere, comportamentali… in contrapposizione ai (vecchi?!) movimenti popolari e rivoluzionari, di cui abbiamo nel mondo e nel nostro paese diversi esempi, tra cui lo stesso MFP!

Nel movimento delle donne, l’impatto è avvenuto nello stesso senso, facendo emergere un “nuovo” riformismo del benessere post-modernista, concentrato principalmente nel campo della difesa delle cosiddette “politiche d’identità”, alla ricerca del “riconoscimento della differenza” e della “decostruzione” della “lingua maschile”, che influenza soprattutto i giovani della piccola borghesia e l’ambiente universitario nel nostro paese. Il femminismo postmoderno favorisce così l’illusione del cambiamento sociale attraverso la “risignificazione” dei segni (termini, parole), che presumibilmente dovrebbe portare alla “responsabilizzazione” individuale delle donne. Un chiaro esempio di questa posizione è stata la cosiddetta “marcia delle puttane”, dove un mediocre insulto alle donne ha dato il nome alla marcia, in cui hanno cominciato a chiamarsi puttane, nel tentativo di modificare il significato sociale della parola “puttana”, secondo un presunto atteggiamento di resistenza al machismo – l’azione più “rivoluzionaria” che potevano fare le femministe postmoderniste!

Alcune femministe postmoderne cercano di fondere la posizione di “risignificazione del linguaggio”, che si concentra sul “riconoscimento” dei termini con nuovi significati, con la cosiddetta “politica sociale di uguaglianza”. E questo cosa significa? Solo semplici briciole, da loro chiamate “soluzioni redistributive” all’interno dello stesso sistema di sfruttamento, cioè politiche compensative che l’imperialismo stesso incoraggia (attraverso le ONG e le politiche pubbliche delle briciole) come un modo per ridurre le tensioni sociali che minacciano il suo dominio in declino – e che non risolvono nulla, nessun problema che quotidianamente colpisce le donne del popolo! In questo modo, i difensori di tali “politiche”, ben abituati all’opportunismo e al revisionismo (che è così bene utilizzato dal postmodernismo nel mondo accademico e nelle sue “linee guida comportamentali”), non essendo in grado di negare il problema della disuguaglianza sociale palesemente crescente nel mondo, derivante da un sistema caotico di sfruttamento e di oppressione, non può proseguire nel compito di porre fine all’oppressione femminile – compito che è possibile raggiungere solo con la fine del sistema di dominio imperialista e con la costruzione del socialismo in tutto il mondo, in direzione della fine della società di classe, il comunismo.

Tuttavia, le femministe postmoderniste di natura piccolo-borghese e borghese dicono che non è possibile identificare i legami comuni, le richieste e le rivendicazioni delle donne, considerando solo parti frammentate di esse. Per Judith Butler, una delle principali femministe postmoderniste, sarebbe “illusorio” cercare un “quadro universale del dominio delle donne”. Ora, se non identifichiamo l’origine e il fondamento della dominazione non solo sulle donne, ma anche della dominazione imperialista, della dominazione semi-coloniale e semi-feudale del nostro paese, come possiamo organizzarci per porre fine a queste dominazioni sul nostro popolo? È proprio lì che comprendiamo l’obiettivo più importante della diffusione del postmodernismo tra gli intellettuali e la gioventù: abdicare alla comprensione e alla trasformazione della realtà!

D’altra parte, come in tutte le altre correnti del femminismo borghese e piccolo-borghese, il femminismo postmodernista identifica l'”uomo”, o il “maschilismo egemone” come l’antipode dominante sul “femminile” o sulla “femminilità”. Ad esempio, la sociologa australiana Raewyn Connell afferma che “tutte le femminilità si formano in posizione di subordinazione al maschilismo egemone”. Per Nancy Fraser, “l’androcentrismo” sarebbe il modo in cui il maschilismo s’impone come standard culturale dominante, cioè “un modello di valore culturale che privilegia i tratti associati al maschile, mentre svaluta tutto ciò che codifica come ‘femminile”.

Così, il femminismo postmodernista finisce per riprodurre la vecchia cantilena che la lotta delle donne è contro gli uomini. Dice che non cerca le cause e le origini dell’oppressione femminile, per nascondere che, infatti, individua in ciò che si trova nella sovrastruttura (costumi, modelli culturali, tradizioni familiari, relazioni affettive e sessuali, ecc.) la causa, in particolare negli standard della “dominazione maschile” e della definizione di “maschio”, omettendo l’intero carattere di classe dell’oppressione femminile nella società classista. Tuttavia, non possono rispondere alla domanda: perché tali pratiche storicamente si sono costituite in questo modo e non in un altro? Anche se dicono no agli “essenzialisti”, le femministe postmoderne non possono negare che finiscono per cadere nella logica del “maschilismo” come causa dell’oppressione sulle donne, che non è altro che una nuova e rinnovata forma delle vecchie teorie reazionarie sulla “natura maschile superiore” e sul “naturale deficit femminile”… per sfuggire al dibattito e nascondere la loro posizione di fondo, sostengono, come Butler, che “la subordinazione delle donne non ha un’unica causa o un’unica soluzione”, il che è lo stesso che non dire niente sulla causa e sulla soluzione dell’oppressione della donna!

Per rendere le loro posizioni ancora più diffuse e criptiche (e tutta l’apparente “confusione” teorica ha sempre un’intenzione politica), le femministe postmoderne sostengono anche che “le differenti oppressioni non possono essere classificate”. Cioè, le “oppressioni” sono così particolari, così individualizzate, che non possono nemmeno avere un nome comune, perché questo le ridurrebbe all ‘”autoritarismo” del “concetto”, considerato che, per i postmodernisti, ” il linguaggio modella e limita la realtà”. Pertanto, dovremmo parlare di femminismo al plurale, perché c’è il femminismo lesbico, il femminismo nero, il femminismo transgender, una moltitudine di particolarità che, secondo questa posizione, non hanno alcuna “base comune” da cui nascono e si organizzano. Ora, onorevoli signore apologete dell’imperialismo, quello che fate, “fondando” false teorie come questa, è incoraggiare la divisione e persino la polverizzazione della classe e, in particolare, delle donne del popolo, contribuite direttamente al mantenimento di questo stesso sistema che sfrutta e opprime nel modo più barbaro e vile milioni di donne del popolo di tutto il mondo! Quando vogliono “mettere da parte” parole e concetti come “donne” e “oppressioni”, in modo che siano “decostruiti” nei loro significati, non fanno un solo passo verso il superamento dell’oppressione sessuale sulle donne, che colpisce la metà della classe in modo brutale e oggettivamente su base giornaliera – cosa che è facilmente individuabile nelle donne lavoratrici, nelle campagne e nelle città, con il loro doppio e triplo orario di lavoro, affrontando code senza precedenti nei sistemi sanitari per l’assistenza medica alle loro famiglie, affrontando la fame dei loro figli, il freddo, la violenza e le umiliazioni di ogni genere in tutti i continenti!

Crisi dell’imperialismo e fallimento del postmodernismo

A quale risultato ha portato questa apologia del relativismo culturale che assegna validità a tutte le “verità” o i “discorsi” come ugualmente legittimi, senza la possibilità di un giudizio critico (da un punto di vista sociale, politico o morale)? Al più puro nichilismo e alla mancanza di prospettive da parte dei giovani, duramente colpiti da questo fenomeno soprattutto al centro della più grande bestia imperialista (considerati i massacri ricorrenti di bambini e di giovani nelle scuole americane), oltre all’edonismo individualista e alla disperata ricerca di sensazioni di piacere individuale ad ogni costo, oltre all’apertura e alla tolleranza parsimoniosa della crescita di posizioni fasciste, dal momento che è un loro diritto individuale difendere le loro posizioni reazionarie e antipopolari (dopo tutto, non è solo un altro punto di vista “discorsivo”?).

All’opposto, lo spettro del comunismo in crescita circonda ancora una volta il mondo e radicalizza le lotte delle masse per i loro diritti, totalmente inascoltate dalle istituzioni borghesi e burocratiche del vecchio stato, le lotte di liberazione nazionale e le Guerre Popolari sotto la guida, ma guarda (!), del proletariato (quella classe che per i postmodernisti non è mai esistita come tale) attraverso i suoi partiti comunisti marxisti-leninisti-maoisti. E le donne del popolo si stanno mobilitando in prima linea in tutte queste lotte, alleate fianco a fianco con i loro compagni di classe contro il dominio borghese, latifondista e imperialista e in difesa della Rivoluzione Proletaria Mondiale!

MOVIMENTO FEMMINILE POPOLARE – BRASILE 24 Maggio, 2023.                                                                        

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